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Fiori dalle sneaker: ora in Germania la scarpetta è bio

11/15/2011

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Dalla Germania e da uno dei colossi dello sportswear, Puma, idee e progetti di abbigliamento sportivo che vanno nella direzione di una decisa valorizzazione delle tematiche ambientali e della eco-sostenibilità. E' uno dei rari casi in cui innovazione e rispetto per l'ambiente riescono ad andare di pari passo: ed i benefici per il barnd e per la sua equity possono essere notevoli...sempre che non siamo di nuovo di fronte ad un altro caso di green-washing e di eco-marketing...
da Repubblica, 14 Novembre 2011, a firma di Andrea Tarquini

L' abito sportivo, specie se griffato, è un s i m b o l o d' una certa idea di benessere e qualità della vita nel nostro tempo: guai a chi non può sfoggiarlo. Ma adesso gli inguaribili perfezionisti ecologici tedeschi ne hanno pensata una nuova. A breve, ci sarà possibile acquistare scarpe da jogging o sneakers, magliette o borse che potremo riciclare come vorremo. Soluzione preferita: renderle biodegradabili, cioè quando sono vecchie e consunte basta tagliuzzarle o triturarle e gettarle nei rifiuti organici misti. Oppure, si ricicla tutto, dalla suola al laccio all' ultimo fregio sulla scarpa di marca. E il ciclo eterno della vita, come la natura l' ha disegnato da migliaia e migliaia di anni, diventa parte del quotidiano in un settore avanzato dell' economia. Ecologia a ogni costo, biodegradabilità e riciclabilità sopra ogni cosa dei capi sportivi di marca? A d e s s o , i n tempi di crisi, m e n t r e n o n siamo nemmeno certi del f u t u r o d e l l' euro? Suona lusso velleitario, ma è anche un discorso serio, vale la pena portarlo avanti in nome del rispetto della natura e per venire incontro alle sensibilità di quella fetta sempre più grande di pubblico per cui il rispetto dell' ambiente è una Weltanschauung. Parola almeno di Franz Koch, il giovanissimo nuovo amministratore delegato di Puma, il colosso dell' abbigliamento sportivo e lifestyle tedesco. Herr Koch ha appena 32 anni e guida Puma da soltanto cento giorni. «Confidiamo di poter fornire alla clientela nel vicinissimo futuro scarpe sportive, t-shirt e borse che siano in grado di essere mischiate e dissolte nel contenitore dei rifiuti organici, oppure riciclate», ha annunciato Herr Koch in una lunga intervista all' autorevole settimanale economico Wirtschaftswoche. Insiste. Si tratta di restaurare i cicli della natura. Secondo due principi, pensando a due cicli. Non solo quello tecnico, in base al quale ogni materiale è riciclabile e riutilizzabile come un vuoto a rendere. No, c' è anche da instaurare il primato del " biologischer Kreislauf ", cioè il ciclo biologico, è il credo del giovane numero uno di Puma. Per cui è necessario e possibile produrre appunto scarpe sportive e abbigliamento per sport e tempo libero in materiali bio, quindi organici. Volete separarvi della cara scarpa e della tuta dopo chilometri di jogging ogni mattino? Benissimo, dimenticate il cassonetto normale dei rifiuti, simbolo dello spreco consumista. Scarpe e tuta andranno in quello che i tedeschi chiamano Kompost, cioè il cassone dei rifiuti organici deperibili misti. Da cui alla fine di solito si ricava concime, o cibo per maiali. «Dalla culla alla culla, è il principio del ciclo eterno della vita che vogliamo portare nella produzione. Stiamo lavorando sodo per produrre e lanciare sul mercato al più presto linee di prodotti che rispondano a entrambe queste esigenze», assicura Koch. «A questo scopo abbiamo costituito un nuovo team, che deve lavorare solo su questa nuova generazione di articoli sportivi, sono i nostri ricercatori più capaci, li abbiamo liberati dallo stress del quotidiano e incaricati di un solo compito: sviluppare nuove tecnologie di produzione, soprattutto per le scarpe sportive. In modo da renderle biodegradabili, ma al tempo stesso assicurando la fusione di tecnologia e design»: la nuova scarpa o tuta da jogging iperecologica e biodegradabile, per carità, nell' aspetto e nello stile non dovrà essere minimamente al di sotto di quella tradizionale, per il gusto del pubblico sovrano.
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Nike, Puma and adidas are "cleaning" their image..."green-washing" or eco-consciousness?

9/12/2011

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Da tempo assistiamo all'emergere di una nuova "specie" di consumatore: il consumatore critico, consapevole, responsabile, che sempre più manifesta un senso di disagio verso i fenomeni di consumo di massa che pure hanno caratterizzato l'epoca che (sembra) ci siamo lasciati alle spalle: l'epoca della ubriacatura dei consumi, dove il ben-avere ha sempre più incalzato e finito per sostituire il ben-essere, dove l'iper-consumo in svariati settori ha fatto credere che il consumo fosse la via per una crescita indefinita.
Oggi quel modello di consumo sembra tramontare, sotto una coltre nera di inquietudine e angoscia per il futuro, che la crisi economica perdurante stende su tutti noi.
In questo scenario nuovi modelli di consumo emergono ed una nuova schiatta di consumatore (il neo-consumatore, appunto), sempre più responsabile (verso le implicazioni delle proprie scelte di consumo); sempre più critico (verso modelli di consumo appunto improntati allo spreco ed al degrado dell'ambiente e della società); sempre più consapevole (della possibilità di scelte di consumo "altre").
Vogliamo leggere in questa ottica la recente reazione delle grandi firme dello Sportswear (adidas, Nike, Puma) al report di Greenpeace, ossia in un'ottica di avvicinamento del mondo delle imprese e dei brands verso quel consumatore eco-consapevole? Oppure siamo di fronte all'ennesimo esempio di pratica di "green-washing", ovvero l'attribuirsi crediti di ecocompatibilità patrocinando cause di rilievo ambientale o per la salute, salvo disinteressarsene completamente nel proprio operare?
Mi piacerebbe sentire dei punti di vista...enjoy!

Adidas, Nike e Puma ‘ripuliscono’la loro immagine

In risposta al report di Greenpeace “Panni sporchi” che denuncia gli elementi inquinanti utilizzati per produrre capi d'abbigliamento e scarpe, i tre brand fanno a gara per ripulire tutta la propria catena produttiva

Adidas, Nike e Puma fanno a gara per ripulire la propria filiera produttiva. Al di fuori delle tradizionali logiche di mercato, i tre brand mondiali hanno iniziato una competizione virtuosa in risposta all’allarme di Greenpecae sulle sostanze tossiche contenute nei loro capi d’abbigliamento sportivi. Con i due rapporti “Dirty Laundry” (Panni sporchi 1 e 2) pubblicati la settimana scorsa, l’associazione ambientalista ha denunciato la pericolosa concentrazione di elementi altamente pericolosi nei capi di 14 brand internazionali. In cima alla lista troviamo il nonilfenolo (Np), una sostanza che non si degrada facilmente, “bioaccumulante” in quanto si accumula lungo la catena alimentare e che può alterare il sistema ormonale dell’uomo anche a livelli molto bassi.

Allarmanti i risultati dell’indagine Greenpeace: su 78 articoli di abbigliamento e scarpe sportive analizzati in 18 differenti Paesi in tutto il mondo, fra cui anche l’Italia, 52 prodotti appartenenti a 14 marche sono risultati positivi al test sui nonilfenoli etossilati (Npe). Coinvolti i più grandi nomi dell’abbigliamento sportivo mondiale, tra cui Abercrombie & Fitch, Adidas, Bauer Hockey, Calvin Klein, Converse, Cortefiel, H&M, Lacoste, Li Ning, Meters/bonwe, Nike, Phillips-Van Heusen Corporation (PVH Corp), Puma e Youngor.

Oltre ai rischi diretti per milioni di consumatori in tutto il mondo, per lo più giovanissimi, questi elementi tossici inquinano gravemente l’ambiente dove vengono dispersi. Gli effetti più disastrosi si verificano in Asia, terra di delocalizzazione per le grandi multinazionali manifatturiere attratte dai bassissimi costi della manodopera. Le analisi Greenpeace hanno infatti rivelato un alto livello inquinante degli scarichi di due complessi industriali cinesi del tessile, lo Youngor Textile Complex e il Well Dyeing Factory Limited, Well Dyeing Factory Limited,  rispettivamente sul delta del fiume Yangzte o fiume Azzurro (il più lungo della Cina che fornisce acqua potabile a circa 20 milioni di persone) e del fiume delle Perle (il  terzo  in  lunghezza). Ritrovati contaminanti  pericolosi  per  l’ecosistema  e  per  la  salute  umana  tra  cui  metalli pesanti, come cromo, rame e nichel, e  composti organici volatili quali il dicloroetano, il  tricloroetano (cloroformio) e il tetracloroetano.

Il problema è che, contrariamente a quanto succede in Europa, in Cina l’utilizzo di elementi chimici pericolosi non è assolutamente regolamentata. In Ue, invece, il nonilfenolo è stato introdotto nella lista delle sostanze pericolose prioritarie all’interno della Direttiva quadro sulle acque (2000/60/CE) e dal 2005 è vietato nei prodotti in commercio se presente  al  di  sopra  di una  certa quantità  (0,1%  in  peso). Il perfluorottano sulfonato (Pfos) è stato di recente introdotto nella lista dei composti  organici persistenti (Pop) all’interno della Convenzione di Stoccolma, trattato internazionale volto  alla protezione della salute e dell’ambiente dagli effetti di queste sostanze. Ma in Cina tutta questa normativa non c’è.

Ecco allora che la competizione virtuosa innescatasi tra i tre brand Adidas, Nike e Puma non può che essere una buona notizia. “La strada verso l’inquinamento zero è lunga, ma la competizione tra queste grandi multinazionali non può che giovare all’ambiente”, si è felicitato Yifang Li di Greenpeace East Asia. “Dopo che queste grandi firme dello sport hanno tracciato la rotta verso un futuro senza elementi tossici nella manifattura, adesso tocca agli altri attori della grande industria fare qualcosa per l’ambiente e per la nostra salute”. Il programma più ambizioso è quello di Adidas, che promette di ripulire tutta la propria catena produttiva entro il 2020 “eliminando totalmente gli Npe” secondo un approccio “sicurezza a tutti i livelli”. Adidas assicura anche “piena trasparenza” sui prodotti chimici utilizzati nei propri stabilimenti. L’impegno è poi di allargare la nuova prassi virtuosa a tutti gli attori degli anelli di produzione dei propri capi d’abbigliamento. Adesso non resta che aspettare la risposta di Puma e Nike.
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